La sezione retrospettiva del Festival è dedicata ad alcuni film del panorama italiano e al loro dialogo imprevisto con l’attualità. Ovviamente il presente di cui parliamo è quello contemporaneo alla realizzazione del film. Ma non riguarda le zone più illuminate e celebri della nostra cinematografia.

Quest’anno il tema della retrospettiva sarà la comicità. Genere considerato prevalente nel nostro cinema, possiede in verità molte sfumature che vanno dal comico alla commedia. La sezione, tenendo fede alle caratteristiche per cui è nata, cercherà di mostrare film particolari, curiosi, rari, o da riconsiderare e riscoprire, sempre con l’idea di valutare come i film italiani abbiano saputo intercettare e comprendere il (loro) presente. (Roy Menarini)

GLI EVENTI SONO TUTTI A INGRESSO GRATUITO

 

GIOVEDI’ 13

Piccolo Teatro Mauro Bolognini

ore 20:00

Roy Menarini presenta l'omaggio al cinema italiano

a seguire

SIGNORE E SIGNORI BUONANOTTE di Luigi Comencini, Nanni Loy, Luigi Magni, Mario Monicelli, Ettore Scola, 1976, durata 118'

ore 22:30

LE BELLE FAMIGLIE di Ugo Gregoretti, 1964, durata 106'

 

VENERDì 14

Piccolo Teatro Mauro Bolognini

ore 20:00

Giacomo Manzoli presenta le proiezioni della sera

a seguire

L'ESORCICCIO di Ciccio Ingrassia, 1975, durata 99'

ore 22:30

CASOTTO di Sergio Citti, 1977, durata 106'

 

SABATO 15

EVENTI SPECIALI

ore 11:00 Libreria "Lo spazio di via dell'ospizio"

TAVOLA ROTONDA SUL CINEMA ITALIANO

Ridere per ridere. Vita, morte e miracoli del cinema comico italiano

Roy Menarini, docente di Cinema, cultura e Management della moda

Giacomo Manzoli, docente di Storia del cinema italiano

Fabio Bonifacci, sceneggiatore e regista di Loro chi?

 

Piccolo Teatro Mauro Bolognini

ore 20:00

OH, SERAFINA! di Alberto Lattuada, 1976, durata 96'

ore 22:30

LA PATATA BOLLENTE di Steno, 1979, durata 99'

 

 

DOMENICA 16

Piccolo Teatro Mauro Bolognini

ore 17:00

VEDO NUDO di Dino Risi, 1969, durata 114'

ore 19:00

IL MERLO MASCHIO di Pasquale Festa Campanile, 1971, durata 110'

Scanio Liberetti è un uomo incompleto: lo si capisce già dal nome, monco di quella ‘A’ che avrebbe smussato l’eccentricità della sua presenza. Ingegnere mancato, vive in appartamento quasi donatogli da una ricca proprietaria, riparando cose e inventandone altre.

Pigro, ma instancabile quando una lampadina dentro la sua testa si accende, conduce un’esistenza impalpabile finché non incontra Helena, giovane ricercatrice di origine inglese arrivata in Italia per lavorare come esperta di risorse umane. The Repairman è arrivato nelle sale (pochissime, purtroppo) come un fulmine a ciel sereno dopo un passaggio senza premi al Torino Film Festival e al Raindance di Londra. La storia sarebbe andata in modo totalmente diverso se il film fosse stato prodotto all’estero, diretto da un regista straniero e interpretato da attori americani, inglesi o altro, fate voi. Sì perché quel titolo esterofilo tradisce l’opera nel momento in cui introduce ad una storia molto italiana, nella quale un personaggio messo ai margini della società, impossibilitato addirittura a definirsi dipendente della società presso cui lavora, cerca in tutti i modi di riabilitarsi da un status di apparente inconsistenza e di porre la sua impronta nel mondo. Superato questo cortocircuito, cosa resta? Un’opera prima di grande spessore che si interroga sul ruolo degli outsiders senza pietismi ma con uno sguardo carico di humour britannico (non a caso il regista Paolo Mitton vive e lavora a Londra), un film atipico che potremmo definire come la via italiana e dinamica al mondo dei morti-viventi costruito da Roy Andersson nella sua trilogia dell’umanità, una storia da realismo magico dove elementi apparentemente inutili, come un’anatra in volo, diventano parti necessarie nella costruzione poetica. Anche le situazioni più banali, come la cena con gli amici ‘affermati’, acquistano consistenza narrativa grazie ad una sceneggiatura votata al ‘fare cinema’: la sequenza in cui Zoe viene continuamente interrotta nel suo racconto radical chic di un viaggio in Africa è una lezione di tempi comici che, al tempo stesso, riesce a raccontarci tutto degli interlocutori. The Repairman non ha avuto una distribuzione (un solo cinema in tutta la Toscana) ma probabilmente avrebbe trovato posto nei multiplex se fosse venuto da un qualche paese anglofono e sarebbe stato giudicato per quello che è, ovvero un film divertente, non presuntuoso, con una regia di qualità, a tratti un po’ furbetto ma senza la malizia di chi sa di dover coprire delle lacune. D’altronde si può ancora fare bel cinema di genere, basta dargli un po’ di credito, anche se per il momento non si vuole fare credere al pubblico che in Italia si possa fare una commedia senza interpellare alcun comico di Zelig.

Michele Galardini su Mediacritica